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Luigi Chiatti

Nascita: 27 febbraio 1978
Morte: vivente
Nazionalità:
Italia
Numero vittime: 2
Periodo attività: 1992-1993
Soprannome: il mostro di Foligno


     Nonostante non si possa definire uno dei più prolifici ed efferati serial killer della storia, la vicenda del mostro di Foligno è ancora ben impressa nei ricordi della gente, sebbene sia passato ben più di un decennio. Questo perchè quando le vittime sono dei bambini, i contorni diventano sempre più torbidi e si fa più fatica ad accettare e superare un crimine del genere. E' forse per questo motivo che la storia di Luigi Chiatti non è mai stata dimenticata.
     Luigi Chiatti nasce il 27 febbraio del 1968 a Narni (Terni) ma il suo nome ufficiale è Antonio Rossi. Antonio infatti nasce da una ragazza madre, Marisa Rossi, che lo mette al mondo a soli 24 anni. Marisa oltre ad essere giovane, ha anche un lavoro precario, fa saltuariamente la cameriera, e così decide di abbandonare il piccolo in un orfanotrofio, perchè non può mantenerlo economicamente. Inizialmente lei va a trovarlo tutte le settimane, nel giorno di riposo dal lavoro, ma pian piano le visite vanno diradandosi ed anche l'atteggiamento verso il bambino diventa piùù freddo e distaccato, finchè, nel marzo del 1972, le visite cessano del tutto. I primi anni di vita all'interno della struttura di accoglienza evidenziano da subito delle difficoltà di adattamento del piccolo Antonio, la mancanza della madre è evidente a tutti, e il bambino lo manifesta chiudendosi sempre più in se stesso per poi scoppiare in attacchi di ira e con un temperamento aggressivo. A questo punto, per evitare peggioramenti irrimediabili per la psiche del bambino, si decide che è urgente provvedere ad un'adozione per lui. Soltanto anni dopo si scoprirà che il motivo principale di questo malessere, e soprattutto dell'aggressività, erano dovuti ad abusi sessuali che il piccolo Antonio aveva subito ripetutamente ad opera di un prete della stessa struttura. Gli abusi vanno avanti fino al 1974, quando Antonio, che ha 6 anni ormai, viene affidato ai coniugi Chiatti. I nuovi genitori sono Ermanno, medico di professione e Giacoma Ponti, una ex insegnante che si innamora del piccolo e spinge per adottarlo. La vita di Antonio, che da questo momento diventa legalmente Luigi Chiatti, sembra quindi prendere una svolta positiva, ma purtroppo questa è solo un'illusione. I rapporti con i nuovi genitori non decollano mai.
     Ermanno, il padre, è una persona che sul lavoro e fuori di casa è aperta ed estroversa, risulta piacevole a tutti, ma a casa parla pochissimo e si chiude sempre nel suo studio. I rapporti tra lui ed il piccolo Luigi saranno di fatto del tutto inesistenti. Con la madre Giacoma, le cose inizialmente vanno un pò meglio. I due parlano e sembrano confidarsi ma anche questo barlume di normalità va pian piano svanendo e Luigi si chiuderà anche con lei. Quello che il bambino non riesce a superare sono i frequenti rimproveri di lei, e per questo si colpevolizzerà, pensando di non essere in gla zona intorno a Narnirado di ricambiare l'affetto della matrigna e di non essere in grado di obbedire. Sebbene quindi la figura materna nella sua vita non sia mai esistita, Luigi aveva la tendenza a giustificare sempre sia la madre naturale (diceva sempre che se l'aveva abbandonato era per motivi più che validi ed indipendenti dalla sua volontà), sia la matrigna, addossandosi la colpa del decadimento del loro rapporto. La scuola è l'ultima spiaggia per sperare in un cambiamento in meglio di Luigi, ma anche qui le cose non cambiano, lui ha lo stesso carattere introverso e tiene lontani tutti, così a soli 10 anni si decide di intervenire con le cure di una psicologa. Ormai però la psiche di Luigi è pervasa da un senso di insicurezza e di diffidenza verso gli adulti, e quindi la terapia non sortisce alcun effetto in quanto, sebbene lui volesse aprirsi e sfogarsi con la psicologa, non riesce a raccontarle granchè dei suoi pensieri più intimi, per paura che la dottoressa potesse riferire tutto alla matrigna. La terapia si concluderà con la diagnosi che parla di "marginalità ed iposocializzazione" e di "un "IO" debole ed anaffettivo, con scarso controllo degli impulsi". Nonostante questo disagio, Luigi continua a frequentare la scuola, pur senza socializzare con i compagni di classe, e soprattutto con le donne con le quali i rapporti sono del tutto assenti. Nel 1987 riesce a prendere il diploma di geometra e dopo poco comincia a lavorare. La storia si ripete però, Luigi non socializza con i colleghi, non collabora, non si applica e solo dopo qualche mese è lui stesso ad ammettere che non è portato per quel lavoro. Nel 1989 parte per il servizio militare, e si rivelerà un'esperienza che gli cambierà la vita in modo permanente. E' proprio in questo anno infatti che vive la prima esperienza omosessuale, che poi ripete sia con un commilitone che con l'ambulanziere dell'infermeria. Ma tutto questo non basta, non è quello che cerca. Le sue fantasie più pressanti sono altre, e riguardano i bambini. Oltre a desiderare di avere rapporti sessuali con loro, vuole assolutamente averne uno a disposizione, uno molto piccolo da accudire, educare, e farlo crescere secondo i suoi insegnamenti almeno fino all'età di 8 anni. Questa fantasia malata pian piano prende forma, diventa più precisa e frequente. Non gli basta un bambino, ne vuole due. E il piano scatta, la fantasia diventa realtà.
     Luigi comincia a fare scorta di abitini per bambini di età tra i 3 ed i 7 anni, accumula viveri in scatola, più facili da conservare e di lunga scadenza e scrive una lista di tutto il resto che avrebbe dovuto avere con se per attuare il piano. Pensava di tenerli nella mansarda di casa sua. E' il 4 ottobre del 1992 quando l'occasione ghiotta gli si presenta, e lui non se la lascia scappare. I suoi genitori sono fuori casa per tutto il giorno, e lui girando in macchina nei dintorni, scorge sotto un albero, da solo, vicino ad una bicicletta un bambino. Quel giorno scompare da Casale, un paesino vicino Foligno, Simone Allegretti, un bimbo di appena 4 anni e mezzo. Fu subito chiaro che si trattava di un rapimento anomalo e, che dato le modeste condizioni della famiglia del piccolo, non era stato fatto a scopo di riscatto. L'ombra del maniaco aleggiò da subito nel paesino e nei dintorni. Tutti i conoscenti della famiglia, oltre che alle forze dell'ordine, setacciarono Chiatti durante il processopalmo per palmo i dintorni del paese, purtroppo senza successo. I media diedero immediato risalto alla notizia che in poche ore era su tutti i giornali ed apriva i telegiornali delle TV. L'ipotesi che il bimbo fosse morto per colpa di un maniaco diventava sempre più concreta, sebbene non fosse stato ancora rinvenuto il corpicino del piccolo Simone. La polizia fece un appello in televisione, invitando il colpevole o chiunque sapesse o avesse visto qualcosa, di contattare la centrale della polizia stessa, e dopo pochissimo una telefonata arrivò. Era Stefano Spilotros, un ragazzo milanese che lavorava per un'agenzia immobiliare, che disse di essere il colpevole. Spilotros venne immediatamente arrestato ma poi, dopo un lungo interrogatorio, rilasciato perchè si appurò che si era inventato tutto, era solo un mitomane in cerca di popolarità. In un certo senso tutti tirarono un sospiro di sollievo, pensando che forse il bambino fose ancora vivo, ma durò molto poco, perchè in una cabina poco distante venne trovato un foglio di quaderno con un messaggio agghiacciante scritto in stampatello con il normografo che diceva: "AIUTO! AIUTATEMI PER FAVORE. IL 4 OTTOBRE HO COMMESSO UN OMICIDIO. SONO PENTITO ORA, ANCHE SE SO CHE NON MI FERMERO' QUI. IL CORPO DI SIMONE SI TROVA VICINO LA STRADA CHE COLLEGA CASALE (FRAZ. FOLIGNO) E SCOPOLI. E' NUDO E NON HA L'OROLOGIO CON IL CINTURINO NERO E QUADRANTE BIANCO. PS NON CERCATE LE IMPRONTE SUL FOGLIO, NON SONO STUPIDO FINO A QUESTO PUNTO. HO USATO DEI GUANTI. SALUTI, AL PROSSIMO OMICIDIO. IL MOSTRO". La polizia capisce subito che questo non è un altro scherzo, il particolare dell'orologio non era stato diffuso alla stampa e solo chi aveva davvero rapito il bambino poteva esserne a conoscenza. E la triste prova arrivò quando sul ciglio della strada tra Casale e Scopoli, come indicato nel messaggio, effettivamente venne trovato il corpicino si Simone, effettivamente nudo, con tutti gli abiti sparsi intorno.
     Il cadavere portava segni di strangolamento (che tramite autopsia si stabilì essere stata la causa di morte), contusioni un pò su tutto il corpo, ed una ferita da arma da taglio al collo, ma nessun segno di violenza carnale. Come soltanto dopo si saprà, Luigi si era avvicinato al bimbo e l'aveva convinto a fare un giretto in macchina con lui. L'aveva portato a casa non sapendo nemmeno bene cosa fare, ed una volta lì gli aveva detto di togliersi i vestiti. Il bambino con tutta la sua ingenuità aveva eseguito rimanendo con le mutandine, ma Luigi lo aiutò a togliersi anche quelle. A quel punto non aveva saputo trattenersi e aveva cominciato a toccarlo nelle parti intime ma questo era subito scoppiato a piangere. Luigi mise una mano sulla bocca ed una sulla gola, premendo così forte da far diventare il bambino cianotico in viso. Ora non piangeva più ma Chiatti si rese conto che era ad un punto di non ritorno. Si era spinto troppo oltre, i genitori sarebbero tornati da lì a poco, ed il piccolo Simone era abbastanza grande da poterlo riconoscere ed accusare. Non aveva altra scelta che ucciderlo e sbarazzarsi del corpicino. E così fece. Quando abbandonò il corpicino sul ciglio della strada però Simone era ancora vivo e così affondò due coltellate alla gola e lo spinse verso il basso facendolo rotolare tra gli arbusti. Poi sparse i vestiti li intorno e tornò a casa. Con la popolazione ancora sotto choc, solo pochi giorni dopo arrivò un nuovo messaggio, che tra le altre cose faceva riferimento alla carcerazione di Stefano Spilotros e al numero verde che era stato istituito dalla polizia. Il nuovo messaggio diceva: "AIUTO! NON RIESCO A FERMARMI. L'OMICIDIO DI SIMONEChiatti durante il processo E' STATO UN OMICIDIO PERFETTO. CERTO, E' DURO AMMETTERE CHE SIA COSI' DA PARTE DELLE FORZE DELL'ORDINE, MA ANALIZZIAMO I FATTI. 1° IO SONO ANCORA LIBERO 2° AVETE IN MANO UN RAGAZZO CHE NON HA NULA A CHE FARE CON L'OMICIDIO 3° NON AVETE LA MIA VOCE REGISTRATA PERCHE' NON HO EFFETTUATO NESSUNA CHIAMATA. QUINDI CHI DICE CHE HO TELEFONATO AL NUMERO VERDE SBAGLIA. 4° LE TELECAMERE NON MI HANNO INQUADRATO DURANTE IL FUNERALE DI SIMONE, PERCHE' NON CI SONO ANDATO. SIETE QUINDI FUORI STRADA. VI CONSIGLIO DI SBRIGARVI, EVITANDO ALTRE FIGURACCE. NON POLTRITE. MUOVETEVI. CREDETE CHE BASTI UNA DIVISA E UNA PISTOLA PER ARRESTARMI. USATE IL CERVELLO, SE NE AVETE UNO ANCORA BUONO E NON ATROFIZZATO DAL MANCATO USO. N.B. PERCHE' HO DETTO DI SBRIGARVI? PERCHE' HO DECISO DI COLPIRE DI NUOVO LA PROSSIMA SETTIMANA. VOLETE SAPERNE DI PIU? VI HO GIA' DETTO TROPPO, ORA TOCCA A VOI EVITARE CHE SUCCEDA. IL MOSTRO".
     Quando anche questo secondo comunicato divenne pubblico, immediatamente scattò la psicosi del mostro ma in realtà la settimana dopo non successe nulla. E nemmeno un mese dopo. Era il primo pomeriggio del 7 agosto del 1993, 10 mesi dopo il primo omicidio che aveva sconvolto quella zona, quando Marcella Sebastiano chiamò allarmata la polizia perchè il suo nipotino, Lorenzo Paolucci, 13 anni, non era rientrato a casa. Il ragazzino quella mattina era andato a casa di un giovane che aveva conosciuto nel paese di Casale. Il giovane si chiamava Luigi Chiatti, un geometra al momento disoccupato di 23 anni. Lorenzo si era recato da lui per giocare a carte a casa sua, come già altre volte avevano fatto. Dopo un paio di partite però Luigi Chiatti, forse colpito da un improvviso raptus, approfittando di trovarsi alle spalle del ragazzino, lo colpì con un forchettone da cucina al torace. A questo punto il copione del primo delitto si ripete. Il piccolo Lorenzo guarda muto ed incredulo il suo aguzzino prima di sussurrare "perchè mi vuoi uccidere?", Luigi sa che ormai è troppo tardi per fermarsi, e non può farlo perchè non riesce a reggere lo sguardo del ragazzino, così gli sferra un fendente alla gola con un coltello. E lo uccide. Prima di cadere nel panico si masturba sul cadavere e soltanto dopo comincia a pensare sul da farsi. Lava come meglio riesce il pavimento e le mattonelle della cucina su cui è schizzato il sangue, poi trascina il corpo verso un laghetto poco distante e se ne disfa. Quando la zia diede l'allarme anche lui si unì alle ricerche, e fu proprio lui a condurre il nonno nel luogo dove fu ritrovato il cadavere del piccolo Lorenzo. Ma questa volta il killer aveva commesso uno sbaglio. La troppa sicurezza o la mancanza di tempo (l'allarme era scattato quasi subito), gli avevano fatto sottovalutare le evidenti tracce che aveva lasciato sul terreno. Tracce di sangue e di trascinamento che conducevano proprio sotto la finestra dio casa sua. Luigi Chiatti viene immediatamente arrestato e la polizia fa irruzione nella casa. Vengono rilevate tracce di sangue nella cucina, nonostante il pavimento fosse stato lavato da poco, vengono sequestrati anche un secchio, contenente uno straccio ancora umido. Inizialmente Luigi Chiatti sembra sotto shock per il precipitare degli eventi in un modo che non aveva pianificato. Nei locali della centrale di polizia continua a ripetere in modo ossessivo e sottovoce "non sono stato io, io sono un bravo boy-scout".
     Alla fine crolla e con estrema lucidità confessa entrambi i delitti. Spiega anche il motivo per cui ha mandato i due comunicati. Afferma di aver mandato il primo perchè quando si era sentito dare del mostro da tutti i media e temuto dalla popolazione, si era sentito lusingato e soddisfatto. Il secondo invece era stato mandato perchè non sopportava l'idea che un mitomane potesse prendersi il merito di tutto quello che aveva fatto lui. Il 9 agosto del 1993 Luigi Chiatti venne ufficialmente incriminato ed arrestato per gli omicidi di Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci. Nel 1994 dopo una perizia psichiatrica che lo dichiarò capace di intendere e di volere, fu condannato all'ergastolo. Una nuova successiva perizia invece lo dichiarò seminfermo di mente e la pena gli fu ridotta a 30 anni di carcere. Ad oggi Luigi Chiatti è detenuto nel carcere di Prato dove ha scontato 13 anni di carcere. Nel corso della reclusione ha già chiesto per due volte di ottenere dei permessi premio, ma gli sono stati rifiutati. Uscirà di prigione nel 2023 e soltanto dopo un'attenta verifica psicologica che ne attesti la sua innocuità per la società.

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